Archaeology in Bologna. The excavations in Via Sante Vincenzi
Le indagini archeologiche condotte durante l'intervento edilizio
nel Villaggio del Fanciullo, attuate grazie alla collaborazione tra
Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna e soggetti
realizzatori dell'opera, hanno reso possibile il recupero di dati significativi
per ripercorrere non solo le modalità della frequentazione antropica in questa
parte di territorio, dall'età del Ferro all'età moderna, ma anche le modifiche
che il paesaggio ha subito nel corso di questo lungo arco cronologico.
L'importanza delle informazioni raccolte, la particolare natura di alcune
strutture rinvenute e gli oggetti recuperati durante le indagini, hanno
spinto a ricercare la forma più corretta per valorizzare e rendere fruibile
quanto scoperto. Si è così deciso di allestire uno
spazio espositivo nella sede del nuovo studentato, inaugurato il 22 novembre
2013: con questa scelta abbiamo
fatto
un ulteriore passo avanti nel percorso di tutela e conoscenza iniziato con lo scavo
archeologico, promuovendo al tempo stesso la conoscenza di un patrimonio archeologico
che riveste un ruolo
così importante nella nostra storia.
scarica il pieghevole "Archeologia a Bologna. Gli scavi in Via Sante Vincenzi" (pdf 485 kb)
Lo scavo
Durante i lavori di realizzazione dei nuovi fabbricati nell'area del Villaggio
del Fanciullo in via Sante Vincenzi a Bologna, in accordo con la
Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia Romagna, è stata effettuata
nell'estate 2010 una campagna di indagine archeologica volta a documentare ed
indagare in maniera estensiva le evidenze emerse.
L'area è ubicata nel quadrante
nord-orientale della città di Bologna, un settore urbano che
topograficamente rientra nella fascia di pertinenza dell'antico corso del fiume Savena e che dal punto di vista archeologico è assai noto per il
rinvenimento in passato di importantissime vestigia antiche. Tra queste si
possono ricordare le necropoli villanoviane di Savena in via Rimesse e di San
Vitale, scoperte all'inizio del secolo scorso, nonché l'abitato del
Villaggio del Fanciullo, databile anch'esso alla prima Età del Ferro (IX-VIII
sec. a. C.)
La superficie indagata, complessivamente di 2500 mq, ha restituito
evidenze databili tra l'Età del Ferro, l'Età Romana e l'evo Moderno.
Il primo settore d'indagine, coincidente con l'edificio che ora ospita
l'esposizione, era ampiamente occupato da apprestamenti relativi alla
sistemazione e rafforzamento artificiale dell'antica sponda fluviale.
L'allestimento suggerisce l'esatta topografia dei rinvenimenti rappresentati da
pali lignei appartenenti probabilmente ad un pontile tardomedievale.
I restanti saggi d'indagine, ubicati nell'area del nuovo corpo di fabbrica
orientale hanno invece restituito depositi e strutture (pozzi) d'età Romana e
Villanoviana, da cui provengono gli oggetti esposti al primo piano.
La formazione del fiume Savena, più giovane rispetto al Reno e coevo forse
all'Idice, potrebbe datarsi ad un momento compreso tra la fase
pre-eneolitica e l'Età del Bronzo, ossia tra il IV e il III millennio a.C.
L'alveo naturale correva, in origine, lungo il margine sinistro del
suo conoide. In Età Romana il Savena, con andamento meandriforme,
fiancheggiava la città ad occidente, incrociando
la via Emilia nei pressi della località denominata Pontevecchio. Per
definire l'antico tracciato in ambito urbano nel settore orientale di Bologna si
utilizzano sia i dati provenienti dalle indagini archeologiche sia alcune
considerazioni di carattere toponomastico e topografico. In questo senso
ad esempio il toponimo "Fossolo" può essere letto con il significato di "Alveo
morto", ad indicare un preesistente passaggio del fiume, così come
la via del Terrapieno, di andamento sinuoso, ne ricorda un argine.
La presenza di un attraversamento fluviale potrebbe spiegare poi il percorso a
gomito del tracciato di via Massarenti.
Il Savena proseguiva verso Nord avvicinandosi all'area poi interessata dalla
cerchia muraria basso medievale della quale storicamente alimentava il fossato.
Secondo le ipotesi correnti, piegava poi ad ansa, assumendo uno
scorrimento Ovest Nord-Ovest in direzione dell'Arcoveggio, per confluire
nell'antico corso del Reno nei pressi di via Lame-Zanardi-Erbose.
Il percorso del torrente corrispondente all'alveo naturale rimase attivo
dall'Età pre-protostorica (e probabilmente romana) mentre si passò gradualmente
a quello noto come Savena antiquo a partire dall'Età tardoromana-altomedioevale.
Le prime operazioni storicamente documentate di intervento di regimentazione
dell'alveo risalgono alla metà del XVI secolo. In seguito alle frequenti
esondazioni, nel 1560 Mons. Cesi fece intraprendere un primo
sostanziale intervento di deviazione del corso d'acqua fino ad allora limitato
all'inefficace rinforzo degli argini: i lavori terminarono probabilmente nel
1568 e l'operazione interessò ampi tratti dal Ponte della Spipola fino a
Malalbergo. Il problema tuttavia non fu affatto risolto cosicché le fonti
storiche documentano nuove esondazioni già a partire dal 1575 e per tutto il
secolo seguente. Solo nel 1769 il governo pontificio stabilì di far
confluire il corso d'acqua direttamente nell'Idice partendo a monte della via
Emilia, sfruttando un invaso minore esistente e allontanando
definitivamente il Savena dal centro urbano: la deviazione fu eseguita a partire
dal 1776.
L'Età Villanoviana
In quest'area la chiara traccia di una presenza antropica databile alla
prima Età del Ferro (IX-VIII sec. a.C.) è testimoniata dal rinvenimento di
un'ampia buca di scarico di circa m 2,20 di diametro e 1,50 m di profondità.
La fossa, di ampie dimensioni, dovette essere utilizzata in un lasso
di tempo prolungato per lo scarico di ceneri e residui provenienti dalla pulizia
di focolari domestici, contenendo abbondante materiale ceramico, resti di
pasto e altri piccoli manufatti come ad esempio alari e fuseruole.
Disegno ricostruttivo dell'area in età villanoviana
L'Età Romana
Il territorio, situato nella parte dell'Ager bononiensis più prossima
alla città, era caratterizzato da un paesaggio rurale cosparso di piccole
abitazioni e vaste e ricche villae.
Tra i pochi elementi strutturali sopravvissuti all'erosione del torrente Savena
sono rimaste intatte soltanto le strutture di due pozzi per il prelievo delle
acque di falda, dai quali provengono gli oggetti esposti al primo piano nella
relativa vetrina
Disegno ricostruttivo dell'area in età romana
Il pontile tardomedievale
Il maggior numero delle testimonianze antropiche riconosciute nel corso
degli scavi erano condizionate dalla vivace attività fluviale,
caratterizzata da erosioni e rideposizioni di ghiaie anche di notevole entità.
Attività volte a rafforzare le sponde del fiume sono state riconosciute tra la
fine del Medioevo e il Rinascimento. Lo scavo ha messo in luce una
struttura perispondale, probabilmente un pontile, costituita da 30
pali lignei disposti su tre file (la cui collocazione reale è rappresentata dai
bolli inseriti nella pavimentazione a pian terreno della nuova costruzione)
infissi nel terreno a profondità variabile. La struttura era collegata ad un
argine a terrapieno rinforzato e contenuto da un'ulteriore palizzata di
cui non si conservano più gli elementi in legno ma solo un doppio allineamento
di buche di palo.
La fila occidentale di pali era singola, con andamento Nord Sud e composta
da dodici elementi. I legni, a sezione circolare e di diametro
compreso tra i 6 e i 15 cm, si presentavano abbastanza ravvicinati (circa
40-50 cm l'uno dall'altro): l'allineamento doveva estendersi in direzione del
corso fluviale e alcuni di essi erano infissi direttamente nell'acqua. Ad
oriente i pali erano disposti su doppia fila, leggermente divergenti
nell'andamento verso Sud-Est. Anch'essi a sezione circolare, si
conservano fuori terra per un'altezza media di m 1,80 a distanza leggermente
maggiore l'uno dall'altro rispetto a quelli della fila opposta (circa 50-60 cm)
ed erano infissi secondo l'andamento della sponda.
La palizzata interna era formata da dieci pali di diametro compreso tra i 6 e i
12 cm, mediamente più lunghi e più alti di quota, mentre quella esterna,
composta da otto elementi, si impostava a quota inferiore. La
distribuzione dei legni di maggior robustezza verso sud e l'alternanza di un
elemento di diametro maggiore con due più piccoli non sembrava comunque essere
casuale.
Ricostruzione periodo medievale con dettaglio del pontile
È probabile che l'intero sistema strutturale, e in particolare la parte a doppio allineamento, potesse reggere una passerella sopraelevata di cui l'unica testimonianza potrebbe essere un elemento orizzontale rinvenuto forse ancora in posto. Le datazioni effettuate al radiocarbonio (C14) collocano la costruzione della struttura tra la fine del Medioevo e l'Era Moderna (inizio del XV- XVI secolo). L'età di taglio dei tronchi utilizzati si aggira intorno ai 30 anni mentre sono state impiegate essenze unicamente appartenenti alla famiglia delle Fagacee, in particolare Cerro, Roverella e Farnia. Tra le file di pali è stato rinvenuto, in posizione centrale, un elemento frangiflutti di planimetria vagamente a losanga, irregolare e stondata, eseguito direttamente in immersione: la struttura era realizzata mediante costipamento di ciottoli fluviali contenuti in un intreccio di ramaglie, una sorta di cesto, delle quali rimanevano le impronte in negativo lasciate nelle sabbie alluvionali che sommergevano la struttura.
Il restauro
Gli scavi archeologici effettuati durante la realizzazione di una nuova
costruzione adibita a collegio universitario in via Sante Vincenzi a Bologna
sono stati l'occasione per intervenire a livello conservativo sin dalle prime
fasi di individuazione dei reperti.
Si è operato allo scopo di rendere fruibili al pubblico alcuni degli oggetti e
delle strutture murarie più significativi rinvenuti nell'area interessata dai
lavori. Sono stati presi in esame gli oggetti in ceramica, metallo, vetro e gli
elementi lapidei, seguendo due principali obiettivi:
• la cura degli aspetti conservativi intrinseci ad ogni tipologia di materiale
per garantire una condizione di stabilità degli oggetti nel tempo
• la restituzione, entro le possibilità reali di ogni reperto, della
forma che aveva in origine, tenendo conto del tipo di sede espositiva a
cui sono destinati
Il pozzo romano è stato ricostruito rimanendo fedeli alla tecnica edilizia "a
secco", cioè priva di legante, adottata dagli antichi costruttori,
osservando le regole conservative di reversibilità dei prodotti utilizzati e
senza sottovalutare gli aspetti di sicurezza nella staticità del manufatto.
I laterizi sono stati rimontati sopra una struttura in metallo progettata
appositamente rispettandone la disposizione, l'ordine e l'orientamento.
clicca qui per scaricare il pdf con "Gli oggetti in mostra"
venerdì 22 novembre 2013 - ore 15.30
Inaugurazione del Camplus Bononia,
residenza
universitaria inserita nel network Camplus
Camplus Bononia - Via Sante Vincenzi, 49 a Bologna
Introduce:
Piergiacomo Sibiano, Direttore Camplus Bononia
Saluti:
Ivano Dionigi, Rettore Alma Mater Studiorum - Università di Bologna
Gian Luca Galletti, Sottosegretario di Stato al Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca
Virginio Merola, Sindaco di Bologna
Interventi:
Maurizio Carvelli, Presidente Fondazione Pier Giorgio Falciola
Maurizio Lupi, Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti
Davide Manca, Alumno Camplus
è presente Renata Curina, Archeologa della Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna, Direttore scientifico degli scavi
A seguire cerimonia di inaugurazione e buffet