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La scoperta del teatro
romano di Bologna riveste un'importanza fondamentale sia per la storia della
città -che ha potuto recuperare il primo grande edificio pubblico romano
identificato con certezza nonché il più antico teatro in muratura
dell’architettura romana- che per la storia dell'architettura teatrale
antica in generale.
Il teatro, la cui costruzione inizia intorno all'88 a.C.,
come la Basilica (oggi sotto Salaborsa) si inserisce in un programma edilizio
pubblico di munificenza civile legato alla celebrazione monumentale del
passaggio del rango della città di Bononia da colonia di diritto latino a
municipium romano, con piena cittadinanza romana, esattamente 2100 anni
fa. Il fatto che il Teatro romano di Bologna sia il primo teatro in muratura
dell'architettura romana rappresenta un primato notevole, considerando che nella
stessa Roma le rappresentazioni teatrali avvenivano su strutture in legno e che
il primo teatro in muratura (theatrum marmoreum) viene realizzato solo
per impulso di Gneo Pompeo Magno nel Campo Marzio tra il 61 ed il 55 a.C., anno
del suo secondo consolato (con Crasso), mentre teatri in muratura secondo i
principi dell'architettura ellenistica (scavati in un pendio collinare) erano
presenti nelle città greche ed etrusche dell'Italia antica.
Purtroppo le problematiche vicende legate alla gestione del
complesso immobiliare di proprietà privata che lo ospita -tuttora irrisolte- lo rendono dal
2000 non fruibile dal pubblico. Nel presentarvi una breve storia
di questo straordinario edificio auspichiamo che la soluzione dei
problemi che lo affliggono possa al più presto restituirlo
all'ammirazione della collettività a cui appartiene.
La musealizzazione finale del teatro romano
Nel 1977 iniziarono i lavori di restauro e
ristrutturazione in un edificio situato in pieno centro storico, in via Carbonesi, destinato a diventare sede commerciale
e complesso residenziale. Durante l'esecuzione dei primi lavori emersero,
scavando, ciò di cui solo si supponeva l'esistenza sulla base di deboli
tracce storiche e scarsi indizi: i resti del Teatro Romano di Bologna.
I primi rinvenimenti risalgono al 1978 quando le opere di scavo per la
bonifica e l'abbassamento dei vecchi scantinati portarono a individuare
un tratto di strada romana acciottolata e una pavimentazione laterizia
non direttamente riferibili all'edificio teatrale. L'avanzamento dei
lavori nel piano interrato, con la rimozione dei pavimenti e degli
intonaci, evidenziò antiche strutture murarie di tale estensione da
indurre gli archeologi a intervenire con una serie di indagini metodiche
che si protrassero dal 1982 al 1984, con ulteriori verifiche nel 1989
(Archivio di Stato). L'esplorazione
risultò molto difficoltosa per le condizioni ambientali in cui si
dovette operare, peraltro abituali nel caso dell'archeologia urbana: un cantiere sotterraneo di circa 1500 mq., interrotto
dai muri di stretti scantinati e attraversato da vecchie fogne e
condutture.
I ruderi, generalmente distrutti fino al livello delle fondazioni, erano
in pessimo stato di conservazione; ciononostante il rilievo planimetrico
dei tracciati murari permise di riconoscere i resti di un sistema di
murature di sostegno a raggiera (sistema sostruttivo radiale-concentrico), chiaramente riferibile ad un settore di
un emiciclo destinato ad accogliere gli spettatori (cavea) di un complesso teatrale romano. La successiva proiezione
geometrica dei muri curvilinei consentì di ricostruirne
l'estensione originaria entro i limiti dell'isolato attualmente compreso
tra le vie Carbonesi, D'Azeglio, Val d'Aposa, Spirito Santo e piazza dei
Celestini.
Accertata la natura teatrale dell'edificio e
approfittando di una fortunata coincidenza (l'apertura nella zona di
altri due cantieri per la ristrutturazione edilizia di palazzo Rodriguez,
in via D'Azeglio e di palazzo Zambeccari, fra le vie Val d'Aposa e Carbonesi)
si è proceduto su due strade parallele.
Da un lato si è effettuato il rilievo sistematico di tutte le strutture
ancora rintracciabili nel sottosuolo in modo da ottenere una
documentazione cartografica quanto più completa possibile;
contemporaneamente si sono svolte ricerche specifiche per studiare la
conformazione volumetrica e la tecnica costruttiva dell'edificio e la
determinazione cronologica della sua fondazione e delle successive
vicende.
È evidente che non
possiamo considerare esaustive le indagini svolte finora ma non è stato
possibile procedere oltre. I ruderi romani si trovano sotto gli edifici
di un intero isolato abitativo che li occulta quasi totalmente. Le
radicali distruzioni operate nel corso degli ultimi cinque secoli -ben
più dannose delle spoliazioni subite dal teatro nell'antichità- ci
privano della possibilità di apprezzare la conformazione architettonica
dell'intero monumento di cui restituiscono parti sparse (membrature),
generalmente
riconoscibili solo in fondazione a parte alcuni tratti della fronte
esterna della cavea, in elevato, che si sono preservati in quanto
ricadenti in un'area cortilizia mai scavata in precedenza. Si segnala
comunque come tutte le strutture più significative, ad iniziare da
quelle del settore appena ricordato, siano state conservate in vista e,
ove necessario, restaurate così da creare un articolato percorso di
visita.
I settori esplorati
hanno evidenziato alcune importanti caratteristiche strutturali
dell'imponente architettura che consentono di riconoscervi due distinte
fasi costruttive.
La prima fase costruttiva (entro l'80 a.C.)
Nella sua prima fase edilizia, corrispondente all'impianto di
fondazione, l'emiciclo del teatro bolognese aveva probabilmente la forma
di un semicerchio pieno di circa 75 metri di diametro, aperto verso
nord secondo quelle che sarebbero state anche le prescrizioni dei
trattati di Vitruvio. La struttura era del tutto autoportante e fondata
su una fitta serie di murature radiali e concentriche costruite a vista
entro un vasto cavo di fondazione, progressivamente reinterrato in
corso d'opera. Le gradinate (gradationes) si sviluppavano lungo
la parete semicircolare ed erano costituite da bassi sedili a gradino
in laterizio che si sviluppavano con lieve pendenza lungo l'invaso della
cavea. Tra i settori delle gradinate dovevano poi aprirsi gli sbocchi
dei corridoi rettilinei che, risalendo a rampa piana, fungevano da
ingressi secondari -almeno quattro- per gli spettatori. Per quanto
riguarda gli ingressi principali dell'edificio non è stato ancora
possibile stabilire se il collegamento diretto con l'orchestra e la
parte inferiore delle gradinate (ima cavea) fosse garantito da
passaggi laterali coperti.
Resti della facciata esterna (I° fase) e dei posteriori muri radiali (II° fase) della cavea del teatro
A caratterizzare maggiormente l'impianto
architettonico del teatro bolognese di prima fase fu indubbiamente la
conformazione della fronte curvilinea della cavea di contenimento della struttura interna a
terrapieno. Di aspetto solido e massiccio, il muro perimetrale
dell'emiciclo -alto intorno ai 6 metri- era scandito da un ordine di
contrafforti articolati che si sviluppavano in serie continua: si
trattava di arcate cieche su semi-pilastri rettangolari, di forma alta e
stretta, verosimilmente chiuse a tutto sesto e sovrastate da un attico.
Numerose e particolarmente interessanti sono le indicazioni relative
alle tecniche edilizie impiegate nella costruzione che comportò il
sistematico uso di arenaria, una pietra tenera abbondante nelle cave
dell'Appennino locale. Grandi lastre ben squadrate pavimentavano il
piano dell'orchestra mentre piccole scaglie componevano l'opus
caementicium dei muri di fondazione. Blocchetti parallelepipedi di
rinforzo angolare e scapoli tronco-piramidali di buona rifinitura erano
impiegati per comporre il rivestimento in opus incertum,
dall'accurata tessitura, usato in tutte le parti di muratura destinate a
rimanere a vista.
Uno dei principali elementi di interesse che il teatro presenta nella
sua fase originaria è indubbiamente la cronologia
decisamente alta. La forma architettonica e la tecnica costruttiva
impiegate riconducono a quel filone dell'architettura romana tardo
repubblicana compresa nell'arco che va dal 120 all'80 avanti Cristo.
Se la notevole antichità inserisce a pieno titolo il monumento bolognese
nella fase formativa dell'architettura teatrale romana, alcune delle
soluzioni tecniche e formali utilizzate per la sua costruzione risultano
per l'epoca decisamente innovative. In particolare l'autoportanza,
certamente la principale innovazione del teatro romano rispetto al
teatro di tradizione greca.
La seconda fase costruttiva (tra il 53 e il 60
d.C.)
Al momento della fondazione il teatro bolognese, con i suoi 75 metri di
diametro, fu indiscutibilmente un'opera edilizia di grande portata. Col
passare del tempo però la crescita demografica e il progressivo
rinnovamento della veste architettonica di Bologna dovettero porre nuove
esigenze -sia di ordine dimensionale che formale- che in qualche modo ne
provocarono l'obsolescenza.
Ci sono tracce di una prima ristrutturazione già in età proto-imperiale,
come testimonia il rinvenimento di un frammento di grande trabeazione
marmorea di età augustea probabilmente proveniente dall'edificio scanico.
Ma è alcuni decenni più tardi -verso la metà del I sec. d.C.- che avrà luogo la
radicale e completa trasformazione dell'edificio. Con questi lavori si
mirò evidentemente ad ottenere un duplice scopo: ampliare la capienza
dell'emiciclo e abbellirne la veste esteriore per
adeguarlo a tipologie architettoniche più aggiornate e nettamente più
evolute rispetto alla vecchia tradizione costruttiva di età
repubblicana.
Tratto di muro di opus quadratum in selenite per il sostegno della cavea in età imperiale
In questa seconda fase si trasformò, come prima cosa, il muro di
contenimento della cavea, demolendo e rasando le arcate cieche di
contrafforte e chiudendo la rientranza centrale posteriore. Subito dopo,
al vecchio anello in opus incertum fu addossata una serie
di nuovi muri radiali, lunghi circa 9 metri con potenti fondazioni,
destinati a sostenere alzati in opera quadrata di selenite. Ciò
consentì l'ampliamento dell'emiciclo -che raggiunse i 93 metri di
diametro- e il suo innalzamento, che si ipotizza abbia raggiunto gli 11
metri sufficienti ad accogliere sulla facciata esterna un doppio ordine
di arcate. Anche l'orchestra dovette subire qualche modifica, con
l'allargamento del diametro a 21 metri e una nuova pavimentazione
probabilmente in lastre di marmo. Le gradinate, per quanto con sedili
rinnovati, conservarono una pendenza assai modesta, appena più
accentuata rispetto alla precedente.
Alle opere strutturali si accompagnarono altri interventi accessori, tra
i quali segnaliamo le decorazioni ambientali e architettoniche la cui
ricchezza ed elaborazione ancora traspaiono dai pochi resti che si sono
conservati. Pavimenti a mosaico e opus sectile di marmi pregiati
e rivestimenti parietali musivi, a stucco o con affreschi a decorazioni
vegetali
ornavano le grandi camere con copertura a volta dell'ordine inferiore
della cavea. Lastre calcaree con delicati rilievi architettonici,
floreali e figurativi rivestivano i vestiboli dei corridoi d'accesso.
Fini membrature e colonne -anche in marmo cipollino e giallo antico- dovevano
decorare il prospetto esterno dell'emiciclo.
Frammenti di lastre di rivestimento decorate a rilievo
Ancora a proposito degli ornamenti accessori, ricordiamo il pregevole torso marmoreo con corazza (loricato) rinvenuto ai primi del Cinquecento nell'area di via Carbonesi e oggi conservato al Museo Civico Archeologico di Bologna. Questo torso -attribuito all'imperatore Nerone- apparteneva ad una statua iconica che originariamente doveva ergersi sul retro della cavea, alla sommità di un attico o in un ambiente di rappresentanza alla base del perimetro esterno.
Torso di statua imperiale loricata attribuita a Nerone (Bologna, Museo Civico Archeologico)
Se questo dato è coerente con la frequenza con
cui personaggi della cerchia imperiale comparivano nei cicli statuari
posti all'interno degli edifici teatrali, l'interesse è accentuato dal
fatto che allo stesso Nerone è stato attribuito un frammento di
iscrizione dedicatoria monumentale, in lettere in bronzo, rinvenuto
nelle immediate vicinanze e datato al 60 d.C..
L'esistenza presso il teatro bolognese di due importanti elementi
onorari dedicati a Nerone non pare casuale ed anzi si collega all'amore
dell'imperatore per questa città testimoniata dalla perorazione tenuta
in Senato dal giovane Nerone -che fruttò a Bologna una consistente
elargizione in denaro per finanziare interventi edilizi- e dai materiali
rinvenuti nei livelli della fase di ampliamento del teatro che
suggeriscono una datazione alla metà del I sec. d.C.. In definitiva si
ritiene assai probabile che l'ampliamento e la ristrutturazione del
teatro bolognese siano dovuti proprio al personale e diretto intervento
di Nerone in favore della città.
Dopo la radicale trasformazione in età neroniana la
cavea non dovette più subire interventi strutturali di grande rilievo.
Dall'età medio e tardoimperiale le sole modifiche da registrare sono di
tipo disgregativo: alla fine del III secolo viene parzialmente spogliato
degli arredi di maggior pregio e a partire dalla seconda metà del IV
progressivamente demolito per recuperare e reimpiegare le murature
esterne in selenite.
Alla distruzione dei principali corpi costruttivi e al completo
abbandono dell'edificio seguì il crollo degli alzati residui e il
progressivo interramento dell'invaso della cavea, con spessi depositi di
terre nere che in età altomedievale occultarono definitivamente i ruderi
del complesso e furono saltuariamente occupati da precarie e deboli
strutture insediative in legno.
La creazione di una Galleria
commerciale in via de' Carbonesi, a Bologna, è nata dall'intensa collaborazione
fra due soggetti pubblici (il Comune di Bologna e l'allora Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna) e due privati (la proprietà dell'immobile e il
Gruppo Coin), all'insegna del rispetto dei reciproci doveri e rispettive
competenze, nel quadro di una unità di intenti volta a salvaguardare l'interesse
pubblico e sociale.
Le superfici della galleria, su tre livelli, sono state articolate intorno al
nucleo dei ritrovamenti archeologici, rendendo possibile la visione del teatro
romano da ogni posizione e comprendendo un percorso museale di grande
suggestione e interesse.
Le foto che seguono, realizzate da Paolo Utimperger in occasione
dell'inaugurazione del punto vendita Coin nel 1994, testimoniano come fosse
stato raggiunto l'obiettivo di integrare il complesso archeologico nel respiro
della città, trasformando in patrimonio pubblico un bene altrimenti accessibile
solo agli specialisti